MARKETPLACES ALTERNATIVI: DAWANDA E IL MONDO DEI MAKERS


Una delle leggende metropolitane più in auge nel mondo dell'e-commerce narra che nel 2006 Claudia Helming e Michael Pütz volessero regalare per Natale ai loro amici delle matrioske (le celebri bamboline russe impilabili) personalizzate.

Ma non riuscirono nel loro intento. Non c'era nessun servizio online in grado di soddisfare la loro esigenza e da quel primo tentativo fallito nacque l’idea di dar vita a un marketplace sul quale ospitare prodotti artigianali realizzati da giovani creativi.

I fondatori del marketplace DaWanda Michael Putz e Claudia Helming
«Qualcosa - racconta Lucia Bruno, Digital PR & Event Manager di DaWanda in Italia - che aderisse all'idea di regali fatti a mano. Una piattaforma sulla quale ospitare venditori e acquirenti».

Nacque così DaWanda, inizialmente dalla sede di Berlino attiva solo sul mercato tedesco,
poi gradualmente verso i mercati internazionali.

«In Italia - prosegue Lucia Bruno - DaWanda è arrivata nel 2012 e oggi è attivo in sette lingue, francese, inglese, italiano, olandese, polacco, spagnolo, tedesco e conta quattro sedi, a Berlino, Madrid, Milano e Varsavia. È una forma di imprenditoria senza rischio: il negozio si apre gratuitamente e si corrisponde a DaWanda un 5 per cento del venduto, nella forma di revenue share».

Oggi DaWanda conta centinaia di migliaia di venditori a livello globale per oltre 5 milioni di prodotti ed è diventato un luogo dove il design sembra aver trovato casa. Il design e tutto quanto fa tendenza.

L'app DaWanda per iPhone
«Come DaWanda facciamo attività di scouting. Ci interessa comprendere la tendenza».

E una delle tendenze è la stampa 3D. «Sulla piattaforma interagiscono 5,2 milioni di utenti e sono loro che ci danno il polso delle tendenze locali in termini di gusto e di design. La stampa 3D è di tendenza. Se ne sono resi immediatamente conto coloro che hanno provato a vendere le loro creazioni».

L'unico rischio dell'innovativo marketplace riguarda però i primi destinatari, vale a dire i makers, che nella loro trasformazione in emittenti non riescono a dare continuità al loro progetto comunicativo e quindi alla loro attività di vendita.

La bellissima funzione step-by-step che illustra lo sviluppo delle varie creazioni
«Spesso i maker rischiano di fermarsi alle applicazioni, alla realizzazione del bell’oggetto, all'affinamento della tecnica: manca il passaggio successivo, che lo trasforma in un oggetto che si vende. C’è una forma di chiusura che impedisce ai maker di rendersi realmente visibili alle grandi firme del design e della moda sempre in cerca di nuove idee».

Non v’è dubbio che i maker siano un po’ frenati dal loro essere piccoli: quando si parla di auto-produzione spesso si parla di realtà molto piccole, che ancora non hanno trovato la leva giusta per promuoversi, anche se qualcuno comincia a fare sistema, in quanto nel doppio ruolo di designer e comunicatori i loro progetti non solo tali, ma tendono ad accorparsi nell'unico e fondamentale progetto di vita.